Cosa mi piacerebbe leggere, davvero o paradossalmente, sulle porte delle chiese.
Nelle ultime settimane, prima per una gita scolastica poi per un pellegrinaggio a Roma, mi sono trovato a visitare tante chiese.
Perlopiù in luoghi diversi, paesi e città, la maggior parte frequentati dai turisti. Sono tutte molto curate, ben tenute, certamente straordinarie e da ammirare! In quelle più “gettonate” non è sempre facile trovare il silenzio e lo spazio adatti per la preghiera oltre che per vedere l’architettura o le opere che vi sono conservate. In alcune si riesce a riservarli, vi sono anche custodi che invitano a non far diventare la chiesa una piazza, qualcuno facendo purtroppo più rumore, altri con la sola presenza discreta e un po’ di gestualità universale.
Ma un aspetto mi ha colpito di più: i cartelli con i vari divieti all’ingresso o immediatamente dentro.
Poche parole, per lo più immagini con una sbarra sopra per essere compresi anche dagli stranieri: vietato fumare, vietato scattare foto, no flash, vietato sdraiarsi, divieto di introdurre animali, non entrare con le spalle scoperte o con scollature, stop alle minigonne o ai pantaloncini, spegnere i telefoni cellulari, divieto di lasciare vestiti per i poveri, non introdurre cibo o bevande, non entrare con i pattini.
Qual è il problema, direte?
È giusto che si rispetti un luogo sacro e non lo si trasformi in altro! Direte ancora che ciò che siamo fuori mostra ciò che siamo dentro e che è necessario educare con regole ben chiare l’esteriorità per migliorarsi dentro.
Eppure, c’è qualcosa che non va in un luogo sacro che ti “accoglie” mettendo in prima linea dei “no” senza mostrare, invece, in ogni modo possibile che lì la misericordia è di casa e ti aspetta perché quello è il momento opportuno.
C’è qualcosa che non funziona se il primo pensiero di chi cura una chiesa è quello di preoccuparsi di questo anziché delle anime e di annunciare che “Dio è più grande del nostro peccato”, del modo di vestire, di un telefono, di un animale domestico, di uno scatto fotografico, ecc.
Mi piacerebbe leggere, davvero o paradossalmente, sulle porte delle chiese qualcuno di questi inviti:
- 1) Entri chi ha il cuore in tempesta seppur in pantaloncini.
- 2) Entri chi ne sente il bisogno anche se ha le spalle scoperte.
- 3) Non preoccupatevi di entrare, con i pattini o il cagnolino, se sentite l’esigenza di incontrare Dio.
- 4) Non temete, se siete stanchi, di sdraiarvi un attimo e trovare ristoro nella “casa del Signore”.
- 5) È vero che il suono del telefono cellulare disturba e distrae, ma è peggio se resti fuori per non spegnerlo o renderlo silenzioso.
- 6) Scatta pure qualche foto, però, appena finito, fissa il tuo obiettivo su Gesù.
- 7) Non ci preoccupa se mangi o bevi qualcosa in chiesa, ci preoccupa di più se non mangi il Corpo di Cristo e non bevi il suo sangue.
- 8) Puoi lasciare i vestiti per i poveri, però ci farebbe piacere sapere chi sei per ringraziarti.
- 9) Non ti preoccupare del flash, Dio è uno che di luce se ne intende!
- 10) L’ingresso è libero e gratuito, e dentro troverai sempre qualcuno con cui parlare o confessarti.
Marco Pappalardo