VIA CRUCIS
Dall’Epifania della violenza all’Epifania dell’amore
di Costanza Miriano
Maria all’angelo non chiese “perché”, ma “come fare”.
La croce ci chiede di essere pronti.
Lo ammetto, faccio una grande fatica a pregare con la Via Crucis. Ho dei problemi con la sofferenza di Gesù.
Cioè, razionalmente la capisco, ma poi guardarla negli occhi non è il mio esercizio spirituale preferito, non è la cosa che amo contemplare di lui (per non parlare di The Passion, che ogni anno provo a guardare, e ogni anno scappo, e mi riprometto che alla prossima quaresima ce la farò; quella comunque è una risonanza del mistero della croce in una persona, umana come me – Anna Katerina Emmerick e poi gli sceneggiatori e Mel Gibson -, quindi non è obbligatoria).
Ma la Via Crucis, quella sì, quella è necessaria. Non possiamo capire quanto Gesù ci ha amati senza contemplare quanto abbia sofferto per noi. Non possiamo entrare nel mistero della nostra croce con un cuore mansueto, con la certezza dei risorti, se non facciamo memoria della passione di Gesù.
Insomma, è finita che mi hanno costretta a scrivere delle brevi meditazioni per ciascuna delle stazioni (la mia amica Cristiana Caricato me l’ha proposto in Sala Stampa, e io, che notoriamente non riesco ad articolare la parola no, ho preso l’incauto impegno, tra l’altro distratta come ero dalle discussioni sul Sinodo sulla famiglia; non avevo capito che sarebbe stata destinata alla pubblicazione, pensavo che sarebbe andata in un sito…). Il lato negativo è stato che come al solito mi sono ridotta all’ultimo, e ho fatto qualche notte in bianco. Il lato positivo è che alla fine l’ho dovuta meditare, questa benedetta Via Crucis.
Rileggendola, adesso, direi che è scritta con il desiderio. Non da chi il volto di Cristo lo ha contemplato, ma da chi desidera tantissimo che questo incrocio di sguardi avvenga, e avvenga prima possibile. E da chi intuisce che la via da percorrere, per un mistero che non ci spiegheremo mai del tutto qui su questa terra, è quella del dolore, del male, della sofferenza accolta.
“Noi che vogliamo appartenerti accettiamo di crocifiggere noi stessi perché niente è più prezioso del tuo amore per noi, niente riesce a separare il nostro desiderio da te”. Mi sembra, rileggendo, che “non separarci” sia l’invocazione più ricorrente. È il desiderio che ci muove. “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”, è la citazione che ho trovato per la seconda stazione. “Il punto centrale è quel “se”. Se qualcuno vuole. Sì, Signore, lo vogliamo, lo vogliamo con tutto il cuore, anche quando arriva la tentazione di decidere da soli cosa ci fa felici, cosa ci salva la vita. Aiutaci ad abbracciare la croce come il più caro dei regali che tu ci possa fare, anche quando proprio non ne capiamo il senso. Maria all’angelo non chiese “perché”, ma “come” fare”. La croce ci chiede di essere pronti fino a uccidere Isacco, come chiosa Cirillo di Alessandria (che sia chiaro: i commenti dei Padri della Chiesa così azzeccati non li ho scelti io, che ovviamente non ne sarei stata in grado).
“Ma la risurrezione, quel fatto che duemila anni fa ha cambiato la storia dell’umanità, ha fatto entrare nel mondo la certezza che neanche una goccia del nostro sudore, nessuna lacrima andrà perduta se messa nelle tue mani, Signore”.