«Ho paura in questi giorni a parlare in classe del “Giorno della Memoria”!
Non perché sia difficile parlarne o troppo duro, ma poiché prevedo che qualcuno degli alunni dirà – magari sottovoce o con uno sbuffo – che ogni anno è la stessa storia, che diciamo sempre la medesima cosa, che ormai sappiamo tutto».
Sono le parole di un docente di liceo, scritte su un blog, che mi hanno fatto pensare…
…visto che anch’io affronterò l’argomento in più classi. Se alcuni dei miei studenti facessero davvero così?
Se dicessero anche loro “ne abbiamo già parlato, discutiamo d’altro”?
Poiché temo che accadrà, non per cattiveria ma perché è più facile trattare altri argomenti e il Prof. è sempre quello che vuole rispolverare le antichità, mi sono convinto che va fatto e pure molto bene: celebrerò questo giorno con tutte le classi e sarà un’ora di “memoria”!
Cosa dirò loro? Io, niente! Farò parlare i testimoni, non le ricostruzioni o la fantasia dei film, ma le parole di chi è sopravvissuto traendole dalle testimonianze vere.
Non parlerò io, saranno i ragazzi ad impersonarli e a ciascuno sarà dato un numero come nei lager, il numero del registro basterà, ed un numero lo avrò anch’io, sarà la somma dei loro. Resteremo in piedi tutta l’ora, chiederò questo piccolo sacrificio, sapendo che non sarà facile e che qualcuno sbufferà.
Naturalmente saranno liberi di partecipare, di sedersi, di rifiutare il numero: già troppi uomini e donne hanno sofferto la mancanza di libertà e la possibilità di scegliere persino per le piccole cose in quegli anni tristi! Insieme ricorderemo e forse questo ci farà un po’ male, ci rattristerà, ci farà sdegnare, ci farà piangere, ma lo vivremo insieme in una società che tende sempre più ad isolare l’uomo, i sentimenti, la memoria, il bene, la comunità. A volte è meglio pensare ad altro, perché mettere avanti questioni così dolorose? Forse perché la sofferenza unisce, la sofferenza livella tutti, la sofferenza forgia, la sofferenza costruisce, la sofferenza esorta il bene a farsi presente e vivo.
Non basta dire “mai più”, ma conta essere “mai più” dinanzi al male attuale, ciascuno secondo le proprie forze, possibilità, condizioni. Non faremo memoria per rispolverare qualcosa del passato o dei nostri ricordi, non apriremo un file ben conservato per l’occasione, bensì “saremo memoria” per chi ci sta accanto, chi incontriamo quotidianamente, chi sentiamo occasionalmente, chi è distratto, chi è violento, chi è ottuso, chi non ne vuol parlare, chi nasconde le notizie, chi non smette nel mondo o dietro casa di essere un persecutore.
Perché, allora, non devo aver paura di parlarne in classe e di celebrare oggi come domani il “Giorno della Memoria”?
Poiché so bene che non ci saranno studenti che sbufferanno o vorranno far altro, magari non avranno voglia di stare in piedi, ma hanno un cuore sempre aperto al dialogo, alla costruzione di una società più civile, al riconoscimento dell’altro pur nella diversità, alla ricerca del bene comune.
Marco Pappalardo