Alla fine di Expo 2015, siamo chiamati ad attuare l’impegno del dialogo, della solidarietà, della gratitudine, dell’ospitalità e della pace.
Ormai siamo giunti alla fine dell’Expo 2015: la Carta di Milano ha raggiunto milioni di adesioni, i padiglioni dei diversi Paesi hanno mostrato il meglio dei loro prodotti agroalimentari, è stato venduto il 20milionesimo biglietto…
È tempo, dunque, di tirare le fila di un discorso, per la verità abbastanza tortuoso, che ha portato l’Italia da fanalino di coda tra i grandi a faro internazionale di cultura.
Ritengo che si possano individuare cinque vie per rendere Expo Milano non solo un grande momento per il rilancio economico e sociale, ma soprattutto un passaggio verso quel modello di società “ecologica”, che può risollevare le sorti del nostro mondo.
La prima via: il diligo
Anzitutto, la prima via è la riscoperta di un’architettura del dialogo: lo snodo principale dei padiglioni è chiamato Decumano, richiamando il nome della strada che definiva la direttrice est-ovest delle città romane. Proprio all’incrocio tra questa e il Cardo, si trovava la piazza: i diversi estremi della realtà locale si congiungevano per gli scambi, non solo commerciali, ma culturali, affettivi, religiosi. Traslando il significato nel nostro tempo, notiamo la polverizzazione dei luoghi d’incontro, ridotti a input minimi e instabili: Expo 2015, se vuole rimanere un evento degno della Storia, deve spronarci a trovare strutture, non solo fisiche, di prossimità.
La seconda via: la solidarietà
La seconda via è offerta dal tema della manifestazione “Nutrire il pianeta, energia per la vita”: secondo le stime mondiali, ciò che affermava Kipling nella sua poesia “Il fardello dell’uomo bianco” – incitando l’Inghilterra e gli Stati Uniti a compiere la propria missione “civilizzatrice” tramite l’imperialismo – è perfettamente ribaltato dalla realtà.
Quei Paesi che hanno subito l’occupazione dell’Occidente stanno pagando la vorace sete di guadagno e di spreco che contraddistingue la nostra società moderna.
L’Expo, che è stata preceduta da serie critiche in merito all’uso dei fondi e alla corruzione connessa, deve riscattare il suo passato pregresso, mediante la stipula da parte degli Stati più avanzati di seri impegni perché sia garantita la giustizia riparatrice in favore di quei popoli, oppressi dall’economia del profitto selvaggio.
La terza via: la gratitudine
Ciò può avvenire attraverso la terza via, quella della “gratitudine attiva”, cioè del profondo riconoscimento, non solo religioso, ma strettamente umano, della gratuità che pervade l’esistenza umana e la apre alla solidarietà.
La sostanza della Persona è la relazionalità, che si esplica in quel “grazie” a Dio, all’altro, alla vita, alla natura, senza chiudersi nell’egoistico senso di autosufficienza o di dominio.L’imperativo della Genesi di governare e custodire il creato si attua nel mistero della solidarietà e della carità vicendevole tra i popoli.
La quarta via: l’ospitalità
Così arriviamo alla quarta via, l’ospitalità, che per i popoli del Mediterraneo è fondamento sacro, addirittura giustificato nel patrimonio mitologico, del vivere civile. Interroghiamoci, anche a livello istituzionale, se l’Expo sia servita o meno a tenere i riflettori accesi sul dramma immigrazione: credo che su questo punto non si siano esplicate tutte le potenzialità del nostro Paese, anzi.
Esclusa la catena di solidarietà in favore dei terremotati del Nepal, l’ospitalità è stata la dimensione meno valorizzata.
La quinta via: la pace
Concludo con la quinta via, indicata dal Presidente della Repubblica, la via della pace. Non un semplice armistizio o un’utopica illusione di pausa conflittuale; la pace, simboleggiata da quell’Albero della Vita, che svetta luminoso a Milano, è quel cammino di riconciliazione e riconoscimento della dignità umana, che racchiude ogni sforzo di solidarietà, gratitudine, ospitalità, dialogo. Solo in un orizzonte di pace, potranno essere assicurati a tutti il nutrimento per la vita, l’energia per un’esistenza proiettata in un futuro di condivisione.
Andrea Miccichè