Gender nella scuola: 7 cose da fare

da | 8 Set 2015 | Genitori

Sette consigli semplici e pratici, per poter affrontare in maniera concreta la questione gender nella scuola.

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Primo.

Sarebbe bene che genitori inviassero ai dirigenti scolastici una lettera con cui chiedere di essere dettagliatamente informati per iscritto su eventuali progetti relativi all’educazione sessuale ed affettiva, all’identità di genere, o comunque connessi a forme di propaganda ideologica omosessualista, subordinando la partecipazione del proprio figlio minore ad un consenso scritto. L’informazione della scuola dovrà riguardare, in particolare, il programma e il contenuto delle relative attività didattiche, i materiali e sussidi utilizzati, la data, l’ora e la durata di tali attività, e ogni informazione necessaria a identificare le persone e gli enti coinvolti nella organizzazione, al fine di valutarne anche i titoli.
La richiesta dei genitori si può inviare mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, o attraverso posta elettronica certificata, oppure depositandola direttamente nella segreteria della scuola.

Secondo.

Sarebbe bene che i genitori leggessero con oculata attenzione ogni documento che la scuola intendesse sottoporre alla loro approvazione scritta. Non serve un atteggiamento prevenuto che parta dall’idea che la scuola voglia “fregarti”. Ma è assolutamente indispensabile evitare che si utilizzino alcuni documenti, come il cosiddetto “patto di corresponsabilità”, per introdurre in maniera insidiosa elementi che consentano la possibilità di attivare iniziative pro gender. Sono sufficienti tre semplici regole: leggere attentamente, informarsi adeguatamente, e in caso di dubbio, contattare chi può aiutarti a capire.
Il “Comitato Difendiamo i Nostri Figli”, organizzatore dell’evento del 20 giugno 2015 di Piazza San Giovanni, è a disposizione per tale scopo.

Terzo.

Sarebbe bene che i genitori si riappropriassero degli spazi cui hanno diritto negli organismi rappresentativi della scuola. L’esperienza ha dimostrato che in molti di tali organismi oggi sono presenti genitori totalmente indifferenti o addirittura favorevoli alla teoria gender. Occorre quindi recuperare quella concreta possibilità di presenza, e tentare di incidere, per quanto possibile, nelle scelte didattiche in modo da ridurre al minimo i rischi di indottrinamento.

Quarto.

Sarebbe bene che i genitori partecipassero a tutti i momenti pubblici in cui si dibatte il tema della “colonizzazione ideologica” nelle scuole, e che mostrassero coraggio nel difendere il loro sacrosanto diritto di priorità nell’educazione dei propri figli rispetto allo Stato, anche attraverso manifestazioni di piazza.
L’indimenticabile evento del 20 giugno 2015 in Piazza San Giovanni ha dimostrato la particolare efficacia di simili azioni.

Quinto.

Sarebbe bene che i genitori non si facessero abbacinare da quelli che il Cardinal Angelo Bagnasco, con un’espressione efficacemente evocativa, ha denunciato come “cavalli di Troia”.
Si tratta di titoli di corsi ingannevoli – a volte veri e propri specchietti per le allodole – attraverso cui passa in maniera fraudolenta la teoria gender. Molti genitori li conoscono bene. I nomi che vanno per la maggiore sono: «corso sull’identità di genere», «lotta al bullismo omofobico», «corso sull’affettività», «lotta agli stereotipi di genere», «corso sulla parità di genere» e la ormai nota «lotta alla violenza di genere», introdotta nel sedicesimo comma dell’art.1 della legge sulla cd. “Buona Scuola”, la cui natura di “cavallo di Troia” è stata, peraltro, dimostrata dall’ordine del giorno n. 9/2994-B/5 approvato dalla Camera dei Deputati lo scorso 8 luglio. Con quel documento parlamentare, infatti, la Camera dei Deputati, dopo aver preso atto, nella premessa, del fatto che proprio il concetto di “violenza di genere” del citato comma sedici, «ha comportato una serie di storture applicative, che sono andate ben al di là dell’istanza, da tutti condivisa, di prevenire la violenza di genere e le discriminazioni», ha impegnato il Governo «in sede di applicazione del comma 16 del provvedimento in esame, ad escludere ogni interpretazione che apra alle cosiddette “teorie del gender”».

Sesto.

Sarebbe bene che i genitori dialogassero con i propri figli. L’esperienza ha dimostrato che non serve un controllo occhiuto e censorio su quello che accade a scuola. Molto spesso, come abbiamo visto, l’indottrinamento si insinua attraverso forme subdole e ambigue. Per questo diventa fondamentale discutere e parlarsi in famiglia. La fonte d’informazione privilegiata restano i ragazzi che vivono quotidianamente l’ambiente scolastico, e solo una salda alleanza con loro può consentire di conoscere l’esatta percezione dei pericoli.
Questo vale, ovviamente, ancora di più con i bambini più piccoli, in particolare quelli che appartengono alla fascia di età da zero a sei anni.

Settimo.

Sarebbe bene che i genitori si tenessero costantemente aggiornati sui pericoli dell’indottrinamento gender nelle scuole, attraverso i pochi ma efficaci mezzi di comunicazione che consentono – ancora fino ad oggi – un’informazione libera su questo delicato tema.

Tratto da un’articolo di Gianfranco Amato