Ce la faranno i nostri eroi a vivere una settimana senza la connessione a internet?
di Sabrina Sapienza
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La nostra eroina, in realtà. L’unica offerente per l’esperimento è stata la sottoscritta: gli altri si sono limitati a decretarla un’inutile follia, in questo millennio tutto schermi.
Così domenica sera mi preparo al grande addio. Mando un messaggio identico a tutti i miei amici: andrò via ma non troppo, scrivetemi sms, chiamatemi, ecco il numero di casa.
Le risposte si dividono in tre filoni: quello del “Che coraggio, che lodevole esperienza!”; quello del “Solo tu puoi fare queste cose!” macchiato al contempo di stima e di biasimo; quello del saluto col fazzoletto, del dolente congedo. Il tutto si macchia di una tragedia in più: la prescelta è la mia prima settimana di vacanza. Masochismo cronico, direbbero quelli del secondo filone.
Beduina nel deserto telematico, ho scritto quotidianamente questa breve cronaca per concedermi il lusso di un diario di bordo, simile a quello del coraggioso Morgan Spurlock il quale scelse, affetto da una pazzia maggiore della mia, di mangiare solo da Mc Donald’s per un mese.
Giorno 1:
Mi sveglio e già lo so che giorno è oggi: si finisce la scuola e s’inizia l’astinenza dal web. I miei compagni scattano foto e le condividono sui social: non le vedrò. Nel pomeriggio non faccio caso al mancato wi-fi perché lo trascorro fuori casa. Le amicizie più strette mi contattano tramite sms. Chi mi ama mi chiama.
Giorno 2:
M’insegue l’ombra della noia vacanziera: a casa, senza internet e con il sottofondo dell’aspirapolvere che la signora delle pulizie trascina dietro sé come un animale domestico.
Mi si para di fronte una cruda verità: non c’è nulla da fare. Va a finire che divoro un libro che mi aspettava incompleto da mesi, di cui mi stupiscono sia l’inaspettato finale che la mia rapidità nel terminarlo. Riunione programmata su Whatsapp: fortuna che si ricordano del mio proposito e mi telefonano per informarmi.
Giorno 3:
Noia grezza. Quella di finire i libri è un’arte di cui divento esperta: tocca ora a Buzzati. La busta gialla degli sms s’illumina rarissimamente; due telefonate di amiche. C’è da ingegnarsi o lasciarsi invecchiare: scelgo la prima. Così inizio a scrivere come non avevo mai fatto; fuori dalla porta si sente che talvolta ridacchio di soddisfazione. Serata soporifera, terzo libro: alla fine della settimana avrò letto la biblioteca di Alessandria.
Giorno 4:
Gambe incrociate sul pavimento, faccio ordine tra gli album da disegno.
Scopro di avere molto più materiale di quanto credessi e annullo la capatina in cartoleria.
Penso che troppo spesso compriamo per ignoranza di quello che abbiamo già.
Giorno 5:
Pittura non-stop dalle quattro alle otto di sera: sporco fogli cartoni sedie e tavoli.
I miei hanno seriamente temuto per le pareti di casa. La creatività è figlia della voglia di riempirsi la vita.
Tutto qui. Non perché io mi sia arresa e sia corsa, il sesto giorno, a riprendermi la numerosa prole di Google, ma perché le mie memorie terminano in questo punto, poi ho smesso di trascriverle.
Sono tornata al web come una naufraga, con gli occhi spalancati da profeta, riabbracciando quasi reduce da un rapimento. E io che volevo scrivere rose e fiori di quest’assenza! Che volevo tessere le lodi del mondo reale disdegnando quello virtuale!
Ma, se dev’esserci una lezione da imparare, ne ho imparate diverse.
Che dalle rivoluzioni non si torna indietro, e a quella tecnologica non possiamo voltare le spalle, chi per pigrizia chi perché incatenatovi dagli impegni; eppure, quando solleviamo le ali dalla rete, ci avvolge il senso di pienezza figlio del nulla, scopriamo l’amore per le cose difficili, scomode, non a portata di mano. Il niente da fare diventa tutto da fare, diventa mondo da inventare o da riordinare, umanità da riscoprire.
E se la fuga in montagna serve a poco, basterà spegnere talvolta la luce di casa, nella speranza che lo facciano gli altri coinquilini del palazzo e, chissà, magari l’intera città, cosicché finalmente, una sera, vedremo brillare le stelle.