Tornando a scuola dalle vacanze, soprattutto quelle lunghe natalizie, c’è a volte un senso di amarezza più che di serenità che aleggia posandosi sui volti e sulle parole.
Eppure, in situazione di normalità, sia gli studenti che i docenti abbiamo avuto più di un’occasione per riposare, per rilassarci, per vivere ore di festa e bei momenti familiari.
Ci si vede e ci si saluta a volte stanchi e affannati, non sembra proprio di aver passato giornate belle e piacevoli.
Che fine hanno fatto gli auguri inviati e ricevuti pieni di gioia?
Dove sono finiti gli auspici di rinnovamento e di tempi migliori rivoltisi reciprocamente?
A chi sono stati lasciati i ricordi delle serate di festa, di condivisione, di fraternità, di allegria?
Neanche i regali, soprattutto quelli desiderati e apprezzati, paiono farci star bene e ricordarci l’euforico countdown di fine anno, i baci, gli abbracci, i sorrisi. Ciò che ci dovrebbe riempire il cuore, al contrario ci svuota e al massimo ci resta la pancia piena; ciò che dovrebbe rilanciarci nelle attività giornaliere, ci trattiene e appesantisce; ciò che dovrebbe rinnovarci, ci invecchia e ci fa sentire pari al foglio strappato del calendario scaduto!
Sarà colpa della crisi, del solito atteggiamento del “poteva andare meglio” oppure “sono stato malato per tutte le feste”, ma perché farsi rubare così il desiderio professato di un anno nuovo, migliore, diverso, intenso? Studiamo, leggiamo, approfondiamo, scriviamo, analizziamo, scrutiniamo, progettiamo, tuttavia rischiamo costantemente di non riuscire a conservare la gioia, i sogni, i buoni propositi, i bei ricordi, i doni. È come se le vacanze fossero una bolla di sapone di più di due settimane oppure uno di quei sogni notturni infiniti, che svaniscono improvvisamente all’alba del ritorno a scuola in gennaio. Invece le feste ci lasciano segni e sogni come se fossero regali preziosi che ci aiutano ad affrontare il quotidiano che diventa più luminoso in virtù di quanto vissuto.
Le vacanze non sono una parentesi e basta tra le fatiche ordinarie, bensì sono il sale che dà gusto anche a ciò che verrà dopo, il sole che dà luce pure ai giorni tristi successivi, la fiamma che mantiene calde le notti fredde del cuore, l’abbraccio che consola quando qualcuno ci manca.
Se solo l’esperienza della famiglia e degli amici riuniti felicemente attorno al presepe o ad una mensa imbandita, ci ricordasse ogni giorno il valore di creare e mantenere relazioni significative con chi ci circonda nel luogo di studio e di lavoro; se uno solamente degli auguri fatti o ricevuti – chissà quanti sul web o di persona – fosse fissato a mo’ di promemoria, calamitato sul frigorifero, scelto ogni giorno come viatico; se il ricordo di essersi ritrovati dopo tanto tempo e aver gustato ogni attimo insieme, potesse trasformare la tristezza dell’addio nella serenità dell’arrivederci; se ogni regalo incartato o scartato con meraviglia e attesa, fosse il simbolo della vita donataci ogni giorno e della vita da donare.
Marco Pappalardo